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Turi, partorisce e finisce in rianimazione perché positiva al Covid, “Mia figlia non l’ho ancora potuta abbracciare”

Su Facebook Monia una neomamma di Turi ha raccontato il suo drammatico parto.

La donna ha raccontato che: “Mi sono ammalata di Covid quando ero alla 34esima settimana di gravidanza”.

La sua piccola è nata prematuramente e lei subito dopo il parto è stata ricoverata in rianimazione.

Monia è tornata a casa ha potuto riabbracciare il marito ma non la figlia perché ancora positiva: «questo virus bastardo non ha ancora finito di presentarmi il suo conto: sono finalmente tra le braccia di mio marito, sto bene, posso parlare, ridere e respirare contemporaneamente, ma non possiamo ancora stringere a noi la nostra piccolina, perché siamo ancora positivi».

«È un virus bastardo  che ti manda il conto dei suoi sintomi ogni giorno: un attimo prima riesci a respirare e pensi di essere una delle tante asintomatiche, un attimo dopo cominci a sentire una leggera difficoltà mentre parli, finché non mi sono ritrovata nella zona rossa di ginecologia del Policlinico con due tubicini di ossigeno nel naso, per aiutarmi a respirare, per non far soffrire la mia piccolina».

Monia ha raccontato la sua drammatica esperienza nel reparto di Rianimazione: «Non credo che dimenticherò mai quello che ho visto attorno a me. Ho sentito l’ultima chiamata di una nonna, di una zia, di una mamma, alla sua famiglia, prima del suo ultimo respiro. Ero accanto a lei quando chiedeva aiuto perché non riusciva a respirare, quando ha fatto quell’ultima chiamata, quando l’hanno portata via. Il virus è ancora tra noi e la gente sta morendo, improvvisamente e in solitudine. Abbiamo il dovere morale, soprattutto nei riguardi di chi non ce l’ha fatta e di chi sta soffrendo per una prematura scomparsa, di proteggerci e di proteggere i nostri cari dal contagio».

“ I medici ed infermieri fenomenali persone meravigliose, professionisti instancabili, che lavorano all’inferno da un anno, eppure ti donano in ogni momento il loro sorriso, la loro umanità, una parola di conforto, una carezza. Di molti di loro non ricordo il nome e non conosco i loro volti, ma ricorderò i loro occhi, i loro sguardi teneri e orgogliosi, che mi hanno dato coraggio e forza in uno dei momenti più tristi e difficili della mia vita. Li definiscono angeli».

Emanuele Larocca

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Emanuele Larocca

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